Quando la complessità inibisce la comunicazione: la parabola di WordPress

Complessità

Negli ultimi mesi mi sono chiesto spesso: ha ancora senso fare blogging nel 2025?
Una domanda che può sembrare scontata, ma che nasconde molto di più.
Viviamo in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale intercetta gran parte del traffico e i motori di ricerca stanno cambiando ruolo. Era facile pensare che fosse questa la causa del progressivo declino del blogging.

Poi, in controtendenza con l’abuso di AI, ho cercato su Google cosa si dice in giro. Ho trovato e letto l’articolo di Matteo Paiato, e mi ha colpito per la sua evoluzione sorprendente.
Matteo arriva a una conclusione diversa da quella che immaginavo: il vero problema non è l’AI, ma WordPress stesso, diventato negli anni sempre più complesso, pesante e — paradossalmente — meno accessibile.

Ed è qualcosa che vedo anche io, ogni giorno.


La semplicità perduta

All’inizio WordPress era uno strumento quasi poetico nella sua essenzialità: un editor, un cursore, un foglio bianco.
Scrivere era un gesto immediato. Io all’epoca programmavo in ASP ma ho iniziato a studiare il PHP proprio motivato da WordPress: volevo non solo configurarlo ma trasformarlo per piegarlo alle mie esigenze.

Oggi invece la complessità non è solo nel CMS, ma nel suo ecosistema: temi, plugin, builder, opzioni e impostazioni che si moltiplicano.
La conseguenza è che WordPress è diventato alla portata di tutti, sì, ma molto più instabile, faticoso da gestire e meno sicuro.

Prendiamo un esempio concreto: Revolution Slider.
Un plugin diffusissimo, pensato per creare slider professionali, molte volte fornito in bundle con i temi, ma che spesso finisce per intrappolare gli utenti dentro le sue demo.
Molti si limitano a cambiare testi e immagini, pur di non affrontare un’interfaccia che somiglia più a una versione lenta e confusa di Photoshop che a uno strumento per la pubblicazione web.

Io stesso, per fare una serie di slide, preferisco scrivere poche righe di JavaScript e usare librerie leggere come Slick.
È ironico, ma oggi trovo più semplice scrivere codice che imparare a usare certi plugin.


L’era dei temi multipurpose

Questa deriva non riguarda solo i plugin, ma anche i temi.
La documentazione è spesso lunga, dispersiva, e raramente aiuta davvero a risolvere i problemi reali.
Anche i temi più curati sono pieni di bug e dipendenze.

Ho insegnato WordPress in diversi corsi, e una delle difficoltà più grandi era proprio trovare temi e plugin che facessero solo ciò che promettevano.
Senza aggiungere dieci funzioni per ogni esigenza, senza trasformare un sito semplice in un labirinto.

Ricordo un episodio molto concreto: dovevamo cambiare il logo di un sito durante un corso.
Semplice, no? In realtà, no.
Il logo era inserito in un template gestito da un’estensione per gli header personalizzati; ogni pagina aveva due header (classico e sticky); e le impostazioni erano sparse in più punti.
Alla fine, c’erano dodici o sedici posti diversi dove poterlo modificare.

E anche dopo aver trovato quello giusto, la cache aggressiva impediva di vedere subito il cambiamento, generando file minificati anche per l’amministrazione.
Serviva un reset manuale.

Per me, da professionista, significava perdere mezz’ora solo per capire dove mettere mano.
Verificare l’header di default, controllare se la pagina usava un’altra variante, modificare da una schermata di personalizzazione dove la preview occupava più spazio dei controlli…
E tutto questo per cambiare un logo.


Quando l’abbondanza diventa un ostacolo

Oggi i temi multipurpose promettono di fare tutto: siti aziendali, portfolio, e-commerce, blog, landing page.
Ma “fare tutto” spesso significa fare male ciò che serve davvero.
Il risultato sono siti lenti, pannelli complessi, amministrazioni stressanti e una perdita generale di controllo.

Capisco la logica economica: ridurre i costi, accorciare i tempi, vendere un prodotto flessibile.
Ma la conseguenza è che si perde il gusto di comunicare.
Parafrasando Matteo, un tempo bastava un foglio bianco. Oggi, invece, tra Elementor, Gutenberg e mille opzioni, trovare uno spazio pulito per scrivere è diventato un lusso.

Io stesso, quando voglio solo scrivere, torno all’editor del codice, non uso nemmeno in Word processor ma Visual Studio.
Un colore uniforme, un cursore lampeggiante.
È l’unica cosa che oggi mi ricorda l’immediatezza del blogging di una volta.

Ovvio, poi devo formattare, la formattazione aiuto gli utenti a navigare tra le parole, i motori di ricerca a capire il peso dei diversi elementi in una pagina. Quindi la forma finale di un articolo nasce in WordPress, ma il contenuto viene generati altrove.


In conclusione: la complessità inibisce la comunicazione

Credo ancora che valga la pena lavorare con WordPress, ma se volete farlo con gusto, prediligete la semplicità.
Non significa avere un sito povero o poco curato: significa costruire qualcosa di chiaro, leggero e gestibile.
Ogni funzione in più, ogni plugin superfluo, ogni pannello complesso toglie qualcosa all’esperienza, sia di chi crea sia di chi legge.

La semplicità non è una rinuncia.
È ciò che permette alla comunicazione di respirare.

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